calivèrna…

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góce pégre,  stràche le sdindòna
‘nluminàde da la luna ormai spanìda
e dent spegià gh’è ‘n muss tut sgiónf
che ‘l se spantàcia ‘n tèra e pò
‘l se ‘mprènde come ghiàc
ombrìa de calivèrna grìsa e mìza
lasando sol a chiche gh’èra lì
qoel ensognarse de ‘n soriso
empiantà dent, ‘n mèz a na làgrima
našùda via par sóra
come la fùssia ‘l fior del bói del mosto
dolc
gió  ‘n de qoel vècio céver,
scondù, de dré da terlaìne
che se pòlsa al lùm emparmalos
de na candela róssa che la piange
‘n de ‘n canton.
Ma dent de mi passión pu triste:
mé de maìstro sula léngua sùta

Giuliano

galavèrna

gocce lente, stanche si dondolano | illuminate dalla luna ormai appannata | e dentro specchiato un viso tutto gonfio | che si spiaccia sul terreno e poi | si rapprende come ghiaccio | ombra di galavèrna grigia ed umida | lasciando solo a chi c’era | quel sogno di un sorriso  | piantato dentro, in mezzo ad una lacrima | nata in superficie | come fosse il fiore del ribollire del mosto | dolce | in quel vecchio tino | nascosto, dietro a ragnatele | che si riposa alla luce timida | di una candela rossa che lacrima | in un angolo. | Ma dentro me passioni amare | assenzio sulla lingua asciutta.

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2 risposte a “calivèrna…”

  1. Potrebbe dirmi:
    Parole che tremano di freddo come un dolore,
    come per chi ha avuto la ventura di aver perso “il volto”, un’ imagine interna, conosciuta , o un riflesso d’immagine che era volto di un altro o altra … come per una ferita prodotta dall’esterno. Uno smarrimento lunare
    Un’idea di sè, che non torna.
    Quell’amore di sè, una immagine di sè, bella come un ideale, che s’incrina o meglio si deforma, non si riconosce più…perchè ha perso lo sguardo dell’altro….

    Forse riferendoti ad altro, alle cose molte che accadono, come a quegli uomini calpestati e umiliati in una tragica sera d’Inverno, sui quali è calato un tetro sipario di tenebra.
    Tragica storia degli esseri umani che perdono l’umanità e uccidono. Diventano fatui, lucidi, organizzati e si trasformano come automi e agiscono con una ferocia che non lascia scampo.
    Seguendo una logica ferrea quanto spietata.
    Quando per qualcuno, l’altro diventa solo una “cosa” e non è più un essere umano con un volto, con una storia, una vita che respira dentro, si è perduti come nel buio di una notte fredda senza luna e senza stelle.

    Perdere il proprio volto è perdere la propria nascita, perché il volto è fisionomia specificatamente umana, che mi permette di riconoscermi nel riflesso di un altro volto diverso dal mio ma dentro quel principio di eguaglianza e di appartenenza a tutti gli altri esseri umani.
    Quando prevale e domina il principio dell’avere piuttosto che il principio di una identità umana fondata sull’essere gli altri non sono più riconoscibili come persone diverse da me, con una loro soggettività e uguali a me in quanto esseri umani.
    Quando l’uomo perde l’affettività mette in atto una fredda logica razionale, che risponde al principio dell’usa e getta dello sfruttamento non solo del lavoro, ma anche della relazione. Interumana. L’altro è espropriato nella sua profonda dignità e verità di uomo.
    Allora i migranti sono come le donne e i bambini oggetti sui quali si può esercitare una inaudita violenza.

    Una tragedia Giuliano, se non riusciamo a ripensare l’uomo nella sua verità più profonda di essere umano, prima di ogni altra verità, si è destinati a morire di freddo.
    Saluto e benedico la tua passione amara di poeta e uomo, e ti ringrazio ancora perché ho assaporato una lacrima di quell’assenzio che sono le tue frasi d’amore.

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