Toccata

Sarebbe una forma musicale antica con un sapore allegro e preparatorio alla fuga o meglio, in questo caso, all’adagio.

 

Vi chiederete cosa sia questo gioco di voci che compongono la toccata verbale che rappresenta qui l’introduzione, a volte feroce, al componimento poetico.

 

Rappresenta un gioco sinuoso nei miei pensieri, sulle corde del senso che non vorrei mai accarezzare ma queste sono, a mio avviso, e come tali le riporto sotto le gocce d’inchiostro di una penna ciarlona. Non darà spazio a una sequenza logica basata sulla realtà ma mischia la mia percezione e la trasforma nel mio senso del vivere o morire che dir si voglia. In fondo siamo così, esistiamo finché respiriamo e poi…
ci toccherà morire e tutto il nostro mondo, quell’assurdo e bellissimo mondo, continuerà senza di noi e questa è una realtà tangibile. Ho scritto una volta che qualcuno meriterebbe di non morire mai (cfr. pöra mòrt) ma questo sarebbe una condizione eccessiva anche se necessaria per comprendere che la morte non è una pena ma un premio. Dobbiamo fare in modo di essere persone migliori e pensare al fatto che il rapporto con il prossimo non è sia la scelta del singolo ma una necessità comunitaria per convivere, insieme a chi è diverso da noi.

“Restare umani” è un racconto che sembra un mantra inflazionato ma si rivela l’unica strada per far sì che questa “Toccata” diventi una stretta di mano o un abbraccio e un inno alla vita.

Punto.

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ciàmeghe gàti…

      7722.mp3

no às miga capì la mè resón pù véra
fòrsi par vizi o par sentirte pù segùra
sentàda ‘n la fonzión che te ‘ncadena el cör
ti, te pareva ‘l fuss en gat la mè passion
sconduda ‘n te dói làgreme de l’ànema
lassàde a spizocarme ént, de ént
ma la speranza à zedù ‘l pass a le paròle
le tò parole dite a bòtaciùch,
dìte parché ti te sentisti mèio
sóra a la slòica su ‘l mè cartèl
scrit sù sbalià a sentirte ti
ma mi no védo altro che doi àuti,
córer emprèssa
che i me à copà i mè mìni
senza dir niènt
magari no par colpa sòa, ma nianca ‘n amen
nianca na fìzza o sol na scusa par pardon
ma ti, às volèst èserghe sol ti
ciamarli gàti ‘l t’à delibrà dal crùzi
de remediàrghe sù, parché ti es ti,
te bàstes,
ti

Giuliano

Chiamali gatti…

non hai voluto comprendere le mie ragioni profonde | forse per vizio o per virtù |  seduta sulla sedia che ti incatena il cuore | a te sembrava fosse solo un gatto quella passione | nascosta dentro lacrime dell’anima | lasciate a pizzicarmi dentro nel mio essere | ma la speranza lascia il passo alle parole |  le tue parole pronunciate a vanvera | dette per farti sentir meglio | nel tuo racconto sul il mio cartello | scritto sbagliato a detta tua | ma io non ho fatto altro che vedere due auto | correre, forte | che mi hanno ucciso i mici | senza battere ciglio | magari non per colpa loro ma senza un amen di compassione | neanche una piega, neppure una scusa per perdonarli | ma tu, hai voluto rimanere tu | chiamarli gatti è stata una sentenza | che libera dal cruccio di rimediare al danno | perché tu sei solo tu | ti basti | tu

P.S: per fortuna non c’era un bambino al posto dei gatti

Le parole sono dei macigni e raccontate hanno il loro peso ma scritte diventano pietre scagliate che colpiscono dentro. Non dirmi che non volevi dire perché è tardi!

Musica: Keith Jarret Danny Boy Londonderry Air

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