Kennst du das Land wo die Zitronen blühn?
Eccola qui la mia Schwarzkopf, questo è stato l’incipit che mi ha portato a conoscerla: un Lied molto conosciuto e riproposto da diversi compositori molto noti ma questa versione è quella musicata da Hugo Wolf, probabilmente uno sconosciuto ai più ma un profondo interprete di questo meraviglioso testo che trova appunto il suo apice nell’essere cantato. Questa poesia di Goethe disegna un Italia che molti di noi in parte conoscono ma che a Goethe si era palesata solo nel primo viaggio. Credo che la Schwarzkopf abbia la forza giusta per raccontare questa visione che a volte è paradisiaca ed allo stesso tempo infernale con i suoi draghi nascosti tra le rocce ed i suoi rivi che cantano nelle valli antiche. Mi piace pensare a questa voce femminile ed associarla alla forza degli uomini di montagna di una volta, specialmente in questo meraviglioso canto. L’invito fatto stasera non è casuale e le due persone che trovate qui oggi credo siano il giusto punto d’arrivo dopo questa breve lettera. Ho scelto la Schwarzkopf perché credo sia la più grande interprete di Lieder del secolo scorso e la sua voce è il colore di un periodo musicale che è stato via via abbandonato o sottostimato a favore di ben più blasonate opere. Non voglio dimenticare i nostri musicisti che hanno fatto dell’opera una grande espressione teatrale come i nostri Verdi, Rossini, Puccini e quanti ve ne passano per la mente ma voglio tirare fuori dal cassetto, solo per un attimo, la poesia di una voce solista che ritengo unica.
Tornando al Viaggio in Italia di Goethe mi premeva farvelo sentire per comprendere come attraverso il suono della voce cambi pure il colore delle parole, sembra quasi di camminarla in lungo e in largo questa nostra “malmenata” Italia:
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn, Im dunkeln Laub die Gold-Orangen glühn, Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht, Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht? Kennst du es wohl? Dahin! dahin Möcht ich mit dir, o mein Geliebter, ziehn.Kennst du das Haus? Auf Säulen ruht sein Dach. Es glänzt der Saal, es schimmert das Gemach, Und Marmorbilder stehn und sehn mich an: Was hat man dir, du armes Kind, getan? Kennst du es wohl? Dahin! dahin Möcht ich mit dir, o mein Beschützer, ziehn.Kennst du den Berg und seinen Wolkensteg? Das Maultier sucht im Nebel seinen Weg; In Höhlen wohnt der Drachen alte Brut; Es stürzt der Fels und über ihn die Flut! Kennst du ihn wohl? Dahin! dahin Geht unser Weg! O Vater, laß uns ziehn! JOHANN WOLFGANG VON GOETHE |
Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni, gli aranci dorati rilucono fra le foglie scure, una mite brezza spira dal cielo azzurro, il mirto immoto resta e alto si erge l’alloro, La conosci tu, forse ? Laggiù, laggiù Con te, amore mio, io vorrei andare.Conosci tu la casa ? Il tetto riposa su alte colonne, risplende la sala, la stanza riluce, e si ergono statue di marmo che mi guardano: Che cosa ti hanno fatto, povera bambina ? La conosci tu forse ? Laggiù, laggiù Con te, mio difensore, io vorrei andare.Conosci tu la montagna e il suo sentiero fra le nuvole? Il mulo cerca il suo cammino nella nebbia; Nelle grotte vive la stirpe antica dei draghi; Si sgretola la rupe e su di essa si chiudono i flutti, La conosci tu, forse ? Laggiù, laggiù E’ il nostro cammino; andiamo, padre mio! JOHANN WOLFGANG VON GOETHE |
La terra dove fioriscono i limoni!
Sembra quasi di sentirne il profumo. Normalmente, quando si parla di fioritura, non si pensa alle piante e invece qui, Goethe riesce a disegnare persino il profumo con cinque parole che lasciano all’immaginazione tutto il senso di un posto incredibile. Praticamente troviamo la bellezza assoluta in una semplice frase.
E per non lasciarci prendere dallo sconforto di non riuscire a sentire spesso queste delicate percezioni sensoriali vi farò ascoltare, a metà serata, una piccola parte da “Die tote Stadt“, La città morta, di Korngold, tratto dal romanzo «Bruges la morte» di Georges Rodenbach nell’interpretazione della nostra amica.
Lo ho scelto non tanto per il testo che risulta forte ed intenso nel suo passare dal sogno alla realtà senza soluzione di continuità ma per questo momento: il momento in cui Marietta, la protagonista, canta questa invocazione al Paul per convincerlo che il suo amore arriverà aldilà di ogni confine terreno. La bellezza di ascoltarla solo dalla voce di Marietta, in questo caso la Schwarzkopf, ne trasforma il senso e la fa diventare solo una storia d’amore. Nell’opera questa parte viene cantata in duo da Marietta e da Paul e finisce con lei che dice beffarda, senza cantare:
Das dumme Lied,
Es hat Sie ganz verzaubert.
Stupida canzone,
Vi ha completamente stregato.
Quante volte un testo interrotto al momento giusto fa pensare a qualcosa di diverso se si aggiungono poche parole?
In ogni caso trovo la Schwarzkopf meravigliosa e ve la voglio far sentire nonostante la lingua e nonostante il fatto che, probabilmente ben pochi comprenderanno il testo in tedesco del quale allego la traduzione:
Gluck, das mir verblieb, Rück zu mir, mein treues Lieb. Abend sinkt im Haag, Bist mir Licht und Tag. Bange pochet Herz an Herz. Hoffnung schwingt sich himmelwärts. Wie wahr, ein traurig Lied. Das Lied vom treuen Lieb, Das sterben muß. Was haben Sie? Ich kenne das Lied. Ich hört es oft in jungen, In Schöneren Tagen… Es hat noch eine Strophe, Weiß ich sie noch?Naht auch Sorge trüb, Rück zu mir, mein treues Lieb. Neig dein blaß Gesicht, Sterben trennt uns nicht. Mußt du einmal von mir gehn, Glaub, es gibt ein Auferstehn. |
Felicità che mi sei rimasta, vieni a me, mio fedele amore. La sera scende su La Haye, tu sei la mia luce e il mio giorno. I nostri cuori battono ansiosi. La speranza li porta fino al cielo. Come è vera, una triste canzone. La canzone dell’amore fedele Che deve morire. Che cosa avete? Questa canzone io la conosco, L’ho sentita spesso da giovane Iin giorni più felici. C’è ancora una strofa, La saprò ancora?Se ancora l’ansia mi offusca, vieni a me, fedele amore. Inclina la tua pallida faccia, la morte non ci separerà. Se tu dovessi un giorno andartene, Credi, ci sarà la resurrezione. |
La fine la scriveremo noi, stasera, solo a parole, quelle dei nostri due amici che ci racconteranno la loro storia.
Stavolta finirò questa breve anticipazione con una mia poesia che credo si addica alla serata:
‘l saór del vènt
l’às mai sentù ‘l saór del vènt de istà
qoànche ‘l te vìs’cia i làori screpolàdi
e ‘l lassa dent ‘mprendù, ‘n la boca sùta,
profumi de fiorùm che è giust seslà?
g’às mai dat òdia al fis’cio berechìn
che ‘l porta ‘n gàida ciòche che sdindòna
par gatàr dent, careze al cör de mama,
sgninfe ‘nzispade de ‘n putàt rabioš?
l’às mai sentù ‘l saór del vènt smanios
a svoltolàr le nùgole pu negre
pavèla su la pèl che par che piàngïa
e i òssi che fà s’ciòchi ‘l pàr bolìfe?
l’às mai sentù ‘l saór del vènt de aotùn
col mosto ancor sul bói, castègne sule brase,
su l’us de cà co i vèci a contàr storie
e ‘n cagn rebùf che sbàia a chiche passa?
ma ti, l’às mai scoltà ‘l remór del vènt
a córer via ‘n trà ‘l pòrtec’, gió ‘n le fràone
qoel zìfol che te dis che ès ancor vìo
e ‘l tase cèt a ‘l cant de le cigaie?
ma ti, l’àš mai sentù ‘l saór del vènt
tastando pian en fior pogià a la lengua?
lasando che i pensieri i se smamìšia
e qoel profumo fòrt te fés sgolàr
ma ti, l’às mai sagià ‘l saór del vènt?
Ora tocca ai nostri amici: Chiara Brun e Antonio Castagna
Diaolin
Elisabeth Schwarzkopf:
https://www.youtube.com/watch?v=C8NtQtw6iHk
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