(Mauro Tonino)
Ritorno a casa
Marino, con i capelli scompigliati dal vento, tanto da sembrare un istrice, con una mano sul timone e l’altra sulla spalla del nipote, disse
“Filippo, prendi tu il timone”.
“Io nonno?” chiese un po’ preoccupato il ragazzo.
“Si certo, sei partito per questo viaggio mozzo, ma ora rientri marinaio!”.
Marino lasciò così i comandi al nipote, poi si diresse verso prua, per aggrapparsi a una sartia e scrutare l’orizzonte. Filippo, attento a manovrare, manteneva in rotta l’imbarcazione senza sbavature, nonostante il mare sempre più increspato. Marino, non aveva sbagliato ad affidare il timone a Filippo, questi seppur in tensione come una corda di violino, sapeva il da farsi, infatti, entrò nel canale del Villaggio con grande sicurezza. Passarono davanti a Mario, che essendo a bordo di una barca a motore più veloce era rientrato prima di loro.
“Grazie Mario!” gridò dalla barca Marino, questi rispose
“Figurite, spero solo che no te dovessi far lo stesso ti con mi un dì!”
poi salutò con il braccio, Marino fece lo stesso, mentre Filippo, nemmeno girò lo sguardo, tanto era attento alle manovre. Con perizia ridusse la velocità nell’approssimarsi dell’approdo. Sulla sponda, proprio di fronte a loro, stazionava invece Daniele, solo e intento ad asciugarsi i capelli con un asciugamano. S’irrigidì nel vedere Filippo alle manovre, non se lo sarebbe aspettato. La preoccupazione svanì presto, visto che Filippo, con una manovra perfetta accostò la barca al pontile. Mentre era lì, ancora immobile, Daniele si sentì apostrofare da Marino, forse per esternare una piccola rivincita e smorzare la sottomissione psicologica per l’infortunio e l’onta appena subita
“Cossa te fa come un bacalà, ciapa la cima!”.
Quasi colto alla sprovvista, Daniele prese la cima e con una gassa d’amante l’assicurò alla bitta. Mentre assicurava anche la seconda cima, Daniele si mise a osservare i due marinai. Ormeggiata l’imbarcazione, iniziarono quindi i lavori di sistemazione, trasbordo a terra delle poche vivande rimaste a bordo, e quant’altro i marinai si erano portati dietro per il viaggio.
Daniele si mise a osservare i due.
Seppur fossero separati da più di una generazione, notò che c’era qualcosa di strano in loro, qualcosa di nuovo, come se quel viaggio avesse reso più intimo e forte il loro rapporto. Gli pareva quasi che si fossero trasformati, Filippo dava l’impressione di essere maturato, cresciuto, non più un ragazzo, ma un giovane uomo. Osservando bene il padre, considerò che anche Marino fosse diverso, trovava ora il suo sguardo sereno, lo sguardo di un uomo in pace. S’interrogò incuriosito su che cosa fosse accaduto durante quel viaggio, forse non glielo avrebbero detto mai e sarebbe rimasto un segreto tra loro due, o chissà, magari un giorno lo avrebbero fatto partecipe dell’espe-rienza vissuta. Marino si diresse verso la casetta di legno, pochi metri quadri che fungevano da magazzino, dispensa, rifugio nelle brutte giornate, il suo regno, e di fatto prima casa dai giorni della pensione. Ne uscì con due birre e una coca cola, che passò ai due consanguinei. Dopo aver gustato tutta la birra, abbracciò figlio e nipote. Lì, tutti e tre uniti, in pace, ognuno a sentire la vicinanza dell’altro, accompagnati solo dal pigro sciabordio dell’acqua del canale mossa dalla marea montante. Tre generazioni, tre mondi, tre uomini, legati dal sangue e dalla storia, figli del passato, ma saldamente ancorati al presente e proiettati verso il futuro.
(Dallagiacoma)
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Suchert Daniel Di Schuler
La montagna è una cattedrale.
Una cattedrale gotica, che porta il cielo in terra ed innalza l’uomo ed i suoi pensieri al cielo.
Una via crucis laica,
è quel che ha organizzato Giuliano. Un’operazione tanto necessaria quanto contraria allo spirito dei tempi: nell’età del multi-tasking, dell’intrattenimento continuo, del rifiuto della riflessione mascherato da fuga dalla noia, condividere testi come “nuclei di pensiero” quindi mettere ognuno – tutti nella condizione di dovervi meditare sopra. Ognuno perché di ognuno è la fatica della salita. Tutti perché collettiva, comune (e anche questo quanto è opposto alla ferocia imperante dell’individualismo di massa) è la volontà di portare a termine il cammino. E, come in una via cruscis, c’è anche il sacro. Quello che ci scopriamo dentro: quello che avvertiamo ineffabile, proprio in cima ai monti o in mezzo al mare, al confine tra noi e l’immenso; tra noi e l’eterno. Una passeggiata in montagna e qualche poesia. Un happening e un momento di Resistenza.
Grazie molte, senza le tue lettere sarebbe mancato molto…
W la Pace, W Diaolin
L’anno prossimo ancora presenti
Grazie molte della partecipazione carissimo
Commentare…difficile qui da te, caro amico, lasciare un commento. I tuoi pensieri, le tue poesie mi lasciano, mi regalano delle sensazioni che sono un po’ come i sapori, non riesci a descriverli ma li ricordi a lungo e ti fanno sentire a casa oppure viaggiare con il pensiero.
Spero tanto, un giorno, di poter passeggiare e condividere pensieri insieme.
Un abbraccio.
Mìgola
Grazie amica mia