Terlaìna – Ragnatela

Giorno 3, febbraio 2022

la non-pace

Oggi il gatto non c’è, tutto tace e la notte fatica a cedere il posto a un aurora indecisa che erompe da un una sfesa nel muro. L’aria è sottile, c’è profumo di resina bruciata nel portico; resta, impavido appeso a due cardini arrugginiti,  un cancello di legno a guardia di niente. C’era qualche pezzo di legna accatastata, un tempo, magari solo nei miei ricordi, ora ci si scalda con il gas.
Passo in silenzio come quasi sempre. Confesso che a volte fischietto come da ragazzino o canto come un pazzo a squarciagola. Oggi no, non è tempo di echi che risuonano tra i vicoli del paese, per me. Un sentore amaro corrode gli occhi. E mi attardo a pensare. Il campanile non ha ancora suonato l’inizio del rito mattutino: si aprono le danze alle 7:30 precise, al secondo rintocco.

C’è qualcosa che non mi torna nelle chiacchiere degli ultimi giorni o, potrei dire, nelle chiacchiere di sempre: siamo in guerra? O è solo un’apparenza? La non-pace è deflagrata potente nelle teste dei superstiti dell’ultimo conflitto che, per evitare di incorrere negli stessi percorsi a ritroso nel tempo, hanno tolto il non ed è rimasta la parola chiave, quella che salva ogni pensiero, quella che uccide in silenzio: pace, questa grande fandonia per convincerci che siamo migliori di allora. Probabilmente l’auto-suggestione non sta funzionando e qualsiasi motivo ci spinge, e noi glielo permettiamo, a cercare un motivo, un buon motivo ovviamente. C’è sempre una buona scusa per fare una cosa come c’è sempre una buona scusa per non farla. Stavolta, finalmente, ci siamo riusciti, abbiamo trovato una buona scusa per non fare… la pace. E io mi chiedo: che senso ha fare la pace se non si è in guerra?  Non ha senso di per sé ma se affondiamo le mani nel brodo del nostro vivere ci accorgiamo subito che l’unico modo per fare pace è “essere in pace“. Prima di tutto con se stessi. Da qui nasce tutto. La visione dell’IO come un bene comune che, se ignorato, disegna il peggio di se stesso.
Lo so bene che si tratta di una pratica semplicemente retorica che sposta il punto focale delle motivazioni che hanno spinto alla guerra su quello che, diversamente, avrebbe potuto farci giocare le pedine in modo diverso.
Non so se chi legge ha presente il gioco degli scacchi: si gioca fino a dare scacco matto e il RE, comunque si muova o resti fermo sarà mangiato. Bello, vero? In realtà non si gioca a scacchi ma a dama: le pedine sono tutte uguali, si spostano nella stessa direzione, mangiano di traverso (per farsi venire l’ulcera direbbe un gastroenterologo) e qualcuna ogni tanto diventa più forte, raddoppia, diventa una dama. Peccato che se negli scacchi riesci a mangiare il RE e finisce la battaglia, a dama sacrificherai tutte le pedine o quasi, sia da un lato che dall’altro. E quindi chi vince? Vince chi gioca. Da entrambi i lati, le pedine perdono sempre. i giocatori, quelli veri, rimangono seduti comodamente al bordo del tavolo. Uno di fronte all’altro e a fine partita cosa succede? Come si conviene tra persone per bene ci si dà la mano e un appuntamento per il prossimo torneo.
Cambieranno le pedine e ne siamo certi, cambierà anche la scacchiera, ma non i giocatori. È un gioco tremendo ma non riusciamo a farne a meno. Perde chi non gioca: le pedine.

Quattro più otto rintocchi, il tempo è inesorabile. Non si dà tregua.

Ritorno con il sapore di un caffè trangugiato di corsa all’oreficeria del paese. Il portico è sempre lì che mi aspetta, Forse no, forse non aspetta niente. Credo abbia sentito a sufficienza, in vari secoli, dei racconti di gente che vive e che muore e che percorre sempre la stessa strada, costantemente seguendo lo stesso cartello:

Tutte le direzioni!

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4 risposte a “Terlaìna – Ragnatela”

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