Terlaìna – Ragnatela

 

Giorno 6, anni ’70

en sonadór

99 scalini, questa è la scala della scuola, tutta colorata ma sempre più lunga. Ogni anno sempre più ripida, l’hanno rifatta un paio di volte ma ripida era e ripida rimane con un certo peggioramento negli anni. Stavolta non ho percorso il portico, chissà perché. Eppure sarebbe stato più comodo ma ogni tanto mi viene la voglia di fare questo percorso alternativo sempre in direzione ostinata verso l’oreficeria, per il solito caffè, anche due a volte, alla solita ora con gli stessi incontri. Arriva anche il meccanico verso le 7:45, fa una battuta, prepara il caffè. Due chiacchiere e il mondo intorno continua a girare dallo stesso verso. Devo ammettere che pure questa scala è un luogo che nel tempo, nel mio tempo chiaramente, è cambiato ben poco. Forse solo l’imbocco a valle, sullo stradone, la Fersina Avisio ora Stradon di Sover. Lì c’era il forno, nel forno c’era “el Gian Pistór” e passando si sentiva il profumo del pane caldo appena uscito dal forno che funzionava a segatura. Un grande capannone di legno ne conteneva un mucchio enorme. Io ero bambino. Ma el Gian Pistór ve lo racconto un altro momento e se mi ricordo vi racconterò pure delle meravigliose “trezze a l’òio” e le “bìne”. Ora però visto che mi è balenato nella testa un ricordo indelebile, uno di quelli che trasformano un luogo in un punto di passaggio incredibilmente presente nelle azioni di tutti i giorni, devo parlarvi di un amico: “en sonadór”!

“El Renzo de la Taliàna”, un ciabattino (en caliàr, come si direbbe in questi luoghi) ma soprattutto un suonatore di fisarmonica, “en sonadór de zibòga”.
Vi chiederete come mai lo chiamavano “de la Taliàna”, vero? Beh, la sua mamma era delle parti di Belluno e si è trasferita a Sover per il matrimonio. No no, vi sbagliate, Trento allora non era Italia ma era Impero Austroungarico o Austria come lo chiama chi non ha capito che sono due cose diverse. Quindi, Belluno, era in Italia e la sua mamma era, per tutta “l’intellighenzia” soverina che si occupava di affibbiare nomincoli e soprannomi, “la Taliàna”. Qui, come in altri posti dei dintorni il soprannome era utilizzato per riconoscere e collocare le persone nel posto giusto. Pensate che sui masi di Sover, masi alti, erano quasi tutti di cognome Todeschi quindi bisognava per forza definire chiaramente di chi si stava parlando. Mio bisnonno, Domenico Todeschi lo chiamavano el Tisto, Menetisto (misto tra Menech e Tisto) inoltre avevamo el Culón, el Cassèla, el Piti e avanti fino al Diaolin, mio nonno, figlio del Tisto nonché el Treculi, l’Ociàl e i Feràri. Potrei passare la sera a raccontare di soprannomi ma torniamo al nostro “sonadór”, al Renzo.

Lo conoscevo fin da quando ero bambino. Ci accompagnava con la sua fisarmonica alla festa di Carnevale, al “Trato Marzo” una festa antica, nelle prime tre sere di marzo, fatta di accoppiamenti improbabili. Quando c’era da fare festa lui c’era. Era il suonatore delle mascherine. Chi da bambino lo ha conosciuto non può essersene scordato. Personalmente ho avuto un rapporto un pochino più intenso, con lui. Avevo cominciato a studiare la fisarmonica da autodidatta aiutato dal maestro di posta (allora si chiamava così) Codeluppi Luigi, bravo suonatore di fisarmonica e pianoforte che abitava a casa mia e, con Renzo, ci incontravamo tutte le domeniche pomeriggio al bar dei miei per fare qualche suonata insieme e cantare assieme ai coristi. I Meneghèi erano quelli dalla voce più importante, anche el Gian dai cagni (Nemoli) contribuiva con la sua voce a dare una certa aura “locale” alla ghenga.
Renzo era molto appassionato per la sua fisarmonica e aveva delle preferenze circa il repertorio di musica, che allora non riuscivo a comprendere, tipo: la Piemontesina, È ritornata l’estate, Rosamunda e quel valzer che ogni volta che lo suono mi fa venire il magone: Carezze.  Lui era un suonatore dallo sguardo triste ma che trovava nel suonare la propria dimensione sociale. Una gran brava persona, un uomo buono.
Lo rammento spesso nei miei pensieri. E questo intenso ricordo mi ha fatto scrivere anche una canzone che si chiama “Na letra par ti”, una specie di orazione per lui; una serie di considerazioni in musica e poesia che raccontano quello che lui è stato per me.

La canzone finisce con queste parole:

ài de ént quel tò soriso
col martèl a ‘mpiantar bròche
e ‘l tò cör ‘mpizà par tuti
che ‘l me tèn l’anima al calt

Ecco, Renzo era semplicemente questo.
Stavolta ho scritto a sufficienza e già mi lacrima il cuore al pensiero di lui.
Prendo un caffè e scappo. Il meccanico è già andato via.
“Sèmpro prèssa sta gioventù!”
E andiamo avanti; il gatto nel portico non mi guarda neppure, sento Trüffel, il mio cagnone, che sbraita dal piazzale: mi ha sentito e abbaia come un forsennato. Non parlo la lingua dei cani ma lui si fa intendere comunque.
Arrivo e, come sempre, è un abbraccio quasi mancassi da mesi. Essere in compagnia di un cane è semplicemente bellissimo. Una coccola costante, una dedizione infinita! Sempre e comunque.

Decisamente bellissimo.

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4 risposte a “Terlaìna – Ragnatela”

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