Terlaìna – Ragnatela

 

Giorno 7, agosto 2010

cornamusa da guerra

Sono di fretta, stamattina, piove, e le tre rondini che abitano il portico tentano in tutti i modi di farmi cambiare strada. Ci provano sempre ma oggi con un’insistenza più accentuata, un cinguettio leggero spezza il silenzio costante delle mie scorribande in oreficeria per un caffè, un sorriso e una chiacchierata come piace a me: parlare di cose, discutere di società e del prezzo delle fragole che mi pare aumentato a dismisura. Una specie di convegno lampo sui bisogni del mondo.Caffè… secondo caffè, meccanico che mi chiede di andare con lui a Segonzano e…

D’un tratto mi salta alla memoria una notte alla Malga Vernera col Rosso da Caoriana, un fisarmonicista bravissimo figlio d’arte, con Valentino avevo suonato decine di volte quando ero ancora ragazzino e “stironava co la zibòga” (provavo con la fisarmonica), col Capéta da Folgaria gran suonatore di cornamusa e con l’amore e molti amici. Abbiamo dormito sopra la cucina in un camerone enorme dopo una buonissima cena preparata a regola d’arte dalla signora di Segonzano che allora aveva in gestione, con tutta la famiglia, malga e alpeggio.  Dico allora perché si tratta del 2010, praticamente un’esistenza orsona, no, forse non si dice orsona ma ormai è scritto e non voglio lasciare segni di bianchetto sul foglio.
La sera l’abbiamo passata insieme suonando durante la cena in malga e ci siamo acclimatati all’altitudine da vertigine (1700 mt slm) ingurgitando sia solidi che liquidi in modo da permetterci di affrontare un mattino importante: una scalata tra i pascoli insieme a chi vorrà accompagnarci.
Notte.
Silenzio, si immagina solo il tremolio lontano delle stelle. Il tempo ci aiuta e appare, inaspettato, un crivello di luci che pulsano e arrotondano la volta del cielo più nero di sempre. In malga non ci sono luci elettriche e la notte è notte. Mi alzo alle 4 e mezza ed esco, eccitato come non mai, per prepararmi all’alba ai Cimati. Non è freddo anzi ma, subito, abbasso gli occhi verso l’infinito: una poesia inenarrabile. Sarei rimasto lì per ore se, all’improvviso, l’arrivo di alcune macchine e dei pompieri non mi avessero ridestato dal sogno ad occhi aperti.

Bene, facciamo colazione e partiamo, dobbiamo salire verso il prato dove faremo lo spettacolo io, Mariano da Ciorlaga, Rosso e Capéta. Il sentiero che sale verso la montagna pare la salita di un bellissimo formicaio dove, per un attimo un centinaio di lucciole ha deciso di illuminare il tragitto. È una sensazione incredibile. I pompieri di Sover, aiutano le persone più anziane a salire per il tratto più complicato. Poi bisogna proseguire a piedi ma solo per poco.
Per un po’ il bosco ci protegge dalle stelle che cadono e solcano il cielo di comete evanescenti per poi schiudersi in una radura a 2000 metri che ci dà il senso del sentirsi al di sopra del mondo. Incontriamo un gruppetto di capre curiose che cercano di comprendere ciò che succede stanotte. Passiamo e ci seguono, rapide, mi superano e ad un tratto scompaiono nel fitto del bosco convinte da odori di erba e profumi di fiori più freschi.

Capéta intona la cornamusa e si sposta nel boschetto lì accanto. La gente si siede sul prato bagnato dalla rugiada.
Il cielo si muove tranquillo e il giorno si spinge fin sopra le teste.
Racconto una storia, Roberto ci suona un ricordo del suo Valentino e la cornamusa da guerra danese, così ha affermato  Capéta, riecheggia colori a riempire la notte, Mariano racconta di rivoluzioni. Non so se avete idea di come sia il suono di una cornamusa da guerra, forse potete immaginarlo, ma nel silenzio del luogo sembrava un canto dagli inferi a contrastare la notte. E poi, in quel luogo, dove i Galli cedroni  eseguono il loro rito di accoppiamento con le danze ed i suoni stranissimi. Il canto inizia con un ticchettio scoppiettante  per finire con lo stridio della ruota del moléta, l’arrotino. E la femmina che col canto sembra un fagiano si innamora… oppure no, chissà?
All’inizio pensavo che la cornamusa fosse fuori luogo  mentre alla fine ho compreso che era l’unica parte dello spettacolo che ben si adattava al contesto bucolico.
Anche il sole ha voluto battezzarci con un raggio di sole appoggiato delicatamente sul capo dei presenti proprio alla fine dello spettacolo.
E per chiudere in bellezza sono arrivate le capre di prima assieme al caprone quasi a dire: avete finito? Ora tocca a noi, questo prato è nostro.

Bene, finisco l’ultimo caffè, prendo pane e panini all’uvetta, rientro a casa.
Le rondini si sono calmate, è spuntato il sole, io sono in ritardo ma, fondamentalmente, credo sia il tempo ad essere inesorabile e quindi perché continuare a rincorrerlo?

Andiamo avanti: TUTTE LE DIREZIONI è la via e pure la meta.

Certo è che il farsi accompagnare dalla musica, dall’amore e dalle amicizie fa diventare il percorso un delicato pensiero che ti porta a vedere il mondo come un regalo

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4 risposte a “Terlaìna – Ragnatela”

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