Terlaìna – Ragnatela

Giorno 8, 25 aprile

liberi mai

 

Oggi l’oreficeria è chiusa, è festa, il caffè lo prendo a casa, anzi no, andiamo a prenderlo dall’amica Antonella a Pradel, alla pizzeria 4 Venti.
Eppure, nonostante la festa, anche stamattina sono sceso in strada per compiere lo stesso rito, come tutti i giorni, tutte le settimane, tutto l’anno: un controllo al Pòrtech del Piti, l’incontro col gatto e un caffettino all’oreficeria: roba per fini intenditori. Due rintocchi di campana: sette e trenta.
In ogni caso, aldilà del caffè, oggi suonerò la mia versione di “Bella Ciao” con la fisarmonica. È un canto partigiano purtroppo asceso, nella testa di chi si è sentito sconfitto, al rango di canto di separazione. Personalmente credo che questo momento sia un momento per tutti: un momento di rinascita e di ricordo di ciò che è stato, di ricordo di ciò che siamo stati e ciò che potremmo diventare.
Ci sono discorsi pubblici in ogni dove, la partitica si è appropriata di un qualcosa che di partitico non ha proprio nulla, è un momento sul quale è necessario interrompere i dissidi e ragionare da uomini liberi, Eh già, ora possiamo, ora siamo uomini liberi anche se qualcuno pensa il contrario. Questo purtroppo non ci esime dalla nostra pervicacia nel portare avanti, magari anche con convinzione, una visione bianca o nera della società dove non esiste spazio per le sfumature. Dove le sfumature diventano il segno della contraddizione intrinseca della libertà nel momento in cui le si tratta da nemiche quasi non ci fosse il bisogno di ragionarci sopra. Negli ultimi anni, la spinta che ci ha fatto gestire il pianeta con l’ago di una bilancia tenuta in mano non si capisce bene da chi, si è persa la percezione del diverso e la si è associata inopinatamente al nemico. Vorrei ricordare che il nazismo e il fascismo sono nati su quest’onda basata sull’odio dell’altro perché è parte di un altra squadra. O vogliamo chiamarla razza?
È molto preoccupante la deriva sociale nella quale siamo stati incanalati nostro malgrado: la capacità di spingere il senso verso una meta che non cercava nessuno è stata importante e il risultato è che, bene o male, ci siamo caduti come dei polli. Da cosa lo si comprende? Dal semplice fatto che non si riescono più a distinguere le sfumature della nostra esistenza. Ci siamo immersi in una nebbia persistente ed immobile che ci attanaglia. Non la vediamo, è vero, ma si è intrufolata nei gangli della nostra psiche portandoci a pensare male anche di noi stessi. Dobbiamo riappropriarci del colore del mondo, il pianeta non è in bianco e nero, la politica non può essere bianca o nera, le persone debbono tornare ad essere persone nel vero senso della parola.

Quest’anno festeggio anche per le donne afgane, per i rivoltosi iraniani, per tutti quelli che sentono nel cuore il bisogno di dare un nome alle cose perché non siano le cose ad appropriarsi delle persone.

Sinceramente, come detto alcuni giorni orsono, è tempo di non-pace e lo chiamiamo pace, è tempo di non-guerra e lo chiamiamo pace. Non riusciamo a dare un nome a questo stato di cose e quindi non riusciamo a leggerlo per quello che è esattamente. Serve una coscienza che vada aldilà del mero racconto strappalacrime che ci conduce inesorabilmente a non comprendere che non basta il sacrificio di quelle persone che ci hanno portato ad avere uno Stato “libero” ma serve l’impegno sociale per fare in modo che noi riusciamo a mantenerlo libero. Non dobbiamo permettere che il potere sia un oggetto distante dalla volontà delle persone, dobbiamo agire sul voto, prima del voto.
Libertà è partecipazione diceva Giorgio Gaber e non aveva torto, specialmente oggi.

Bene, il caffè è buono, e il cane di Antonella continua a non arrischiarsi che per un biscottino.
Ha paura. In fondo anche lui non è così libero come vorrebbe con la differenza che lui non può scegliere.

In ogni caso il 25 aprile è stato, e rimarrà il valico attraverso il quale abbiamo dovuto passare per definire cosa sia la LIBERTÀ, e vale anche per chi l’ha combattuta e la combatte tuttora.

Sèmpro avanti e mai zerùch!

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4 risposte a “Terlaìna – Ragnatela”

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